INCLUSIONE: CON RISERVA
- Helix Eventide
- 24 giu
- Tempo di lettura: 2 min
Nel discorso pubblico contemporaneo, l’inclusione è un concetto sempreverde, accolto con entusiasmo in
ambito educativo e clinico. Tuttavia, osservandolo più da vicino, si rivela spesso un’inclusione condizionata, strategicamente modellata attorno alla “accettabilità sociale” della persona da includere.
In pratica: il diverso è benvenuto, a patto che non ecceda. Può essere vulnerabile, certo, ma deve anche essere
ben funzionante, idealmente emotivamente autoregolato, costantemente collaborativo e, se possibile, rassicurante per chi lo accoglie. Se invece porta con sé troppo caos o un dolore indecifrabile, viene silenziosamente ricollocato al di fuori del perimetro della “normalità gestibile”.
Si tratta di una dinamica sociale ben descritta dalla psicologia attraverso i concetti di norme implicite, conformità identitaria e desiderabilità relazionale.
L’inclusione, lungi dall’essere un principio assoluto, assume spesso la forma di una sofisticata selezione simbolica: includiamo chi dimostra di sapersi adattare al contesto, chi genera compatibilità, chi decodifica correttamente il copione sociale dominante e vi si conforma senza troppi attriti.
Si attiva un meccanismo tanto diffuso quanto raramente nominato: la bolla empatica; un filtro affettivo selettivo che dirige la nostra capacità empatica verso chi ci somiglia abbastanza o, almeno, riesce a rendersi sufficientemente intelligibile secondo i nostri codici culturali ed emotivi.
La bolla empatica è comoda: ci consente di mantenere un’immagine di noi stessi come persone aperte e accoglienti, escludendo al contempo, con eleganza e discrezione, ciò che risulta troppo disturbante, troppo estraneo, troppo difficile da “sentire” davvero.
Promuoviamo l’inclusione finché non ci chiede di tollerare lo scarto; finché l’alterità rimane relativamente docile.
Un’inclusione autentica, quella che rappresenta un reale processo trasformativo e non una mera strategia narrativa, ci obbligherebbe invece a confrontarci con l’attrito, l’ambiguità e l’incomprensibilità.
Ci chiederebbe di sospendere il bisogno di identificazione immediata, di accogliere ciò che non è intuitivo, ciò che non si può facilmente spiegare in una didascalia su Instagram, ma questo, com’è noto, è assai meno fotogenico e molto più arduo da tradurre in piani educativi o istituzionali, dove efficienza, misurabilità e chiarezza continuano
a guidare le pratiche d’intervento.
E coloro che non riescono a performare l’inclusività attesa? Coloro che sfidano le aspettative emotive e morali del gruppo di riferimento? Coloro che non solo non “funzionano”, ma rifiutano attivamente la logica funzionalista alla base della loro accettazione?
Forse allora è il momento di dirlo apertamente: non stiamo davvero parlando di inclusione, ma di adattamento estetico alla norma.
- 𝐷𝑟. 𝑁𝑖𝑘𝑜𝑙𝑎𝑗 𝐾𝑜𝑛𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑖𝑛𝑒 𝑅𝑜𝑚𝑎𝑛𝑜𝑣
𝑆𝑝𝑒𝑐𝑖𝑎𝑙𝑖𝑠𝑡𝑎 𝑖𝑛 𝑃𝑠𝑖𝑐𝑜𝑙𝑜𝑔𝑖𝑎 𝑆𝑜𝑐𝑖𝑎𝑙𝑒
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